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Potito Michele Giorgio – L’architetto che ascolta gli spazi

  • Michela Marullo
  • 27 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 4 nov

Tra memoria e sensi, l’architetto che trasforma la storia in esperienza contemporanea e la collaborazione con Krhome Real Estate per un nuovo concetto di abitare di pregio. 

 

Entrare in uno spazio firmato da Potito Michele Giorgio significa percepire qualcosa di raro: un silenzio pieno. Non è il vuoto, ma un equilibrio. È la sensazione di trovarsi in un luogo che non cerca di stupire, ma di accogliere.  

Le sue architetture non si impongono mai: ascoltano. È da questa attitudine che nasce il suo linguaggio, fatto di luce, materia e memoria, in cui il passato non è mai nostalgia, ma presenza viva. 


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Roma come laboratorio di memoria 

L’intera poetica di Potito Michele Giorgio è profondamente romana. Roma, città di rovine e rinascite, insegna che costruire significa prima di tutto interpretare ciò che esiste già. Nei suoi progetti, le pietre non vengono nascoste: vengono riportate alla luce. Il travertino si fa contemporaneo, il legno dialoga con il metallo brunito, la luce naturale diventa materia d’arredo. 

Nel Singer Palace Hotel, storico edificio che fu sede delle macchine da cucire Singer, Giorgio ha trasformato l’architettura industriale del primo Novecento in un luogo d’ospitalità sensoriale. La scala sospesa in marmo Arabescato Corchia, la balaustra scolpita, i pannelli in noce e gli inserti in galatite raccontano la sua capacità di fondere passato e presente in un’unica, fluida esperienza estetica. 

Nel Stendhal Luxury Suites, sopra Piazza di Spagna, l’atmosfera è diversa ma il principio identico: ogni stanza dialoga con la città, ogni materiale respira la sua storia. Per Giorgio, il restauro è un atto poetico: “L’architetto non cancella: traduce.” 

 

Potito Michele Giorgio appartiene a quella ristretta categoria di architetti che progettano spazi da sentire, non solo da vedere. I suoi boutique hotel non si limitano a ospitare: accompagnano. L’ospite percepisce la temperatura della pietra, il riflesso dorato del metallo, la morbidezza dei tessuti, la luce che varia come un respiro. 

Al Singer Palace la scala non è solo elemento funzionale, ma emozione percettiva: i gradini autoportanti invitano a salire come in una scultura abitata. Nello Stendhal, la luce filtra attraverso vetri opalini, creando un’ombra gentile che restituisce intimità. 

Ogni dettaglio — un profilo di ottone, una boiserie scolpita, una texture vellutata — diventa un gesto di ospitalità. Per lui, l’architettura non è oggetto, ma relazione. 

 

La traduzione del tempo 

Giorgio non costruisce ex novo, dialoga con il tempo. Ogni suo progetto è una traduzione, non una cancellazione. Nei suoi interventi il passato resta visibile, ma trasformato in una lingua nuova: il linguaggio della proporzione, della luce, del rispetto. 

Nel Singer Palace, la memoria industriale del palazzo è evocata nei dettagli metallici e nei ritmi verticali che richiamano le vecchie macchine Singer. Nelle Stendhal Suites, invece, il classicismo romano sopravvive nelle proporzioni e nei toni caldi, ma rivive in chiave contemporanea, essenziale e colta. 

Questa capacità di trasformare senza snaturare è ciò che distingue il suo lavoro: un equilibrio raro tra rigore e sentimento, tra tecnica e delicatezza. 

“Il tempo non si conserva — si affina,” ama dire. Ed è in questa frase che si riconosce tutta la sua poetica. 

 

Il dettaglio come firma 

C’è sempre un momento, nei progetti di Potito Michele Giorgio, in cui il dettaglio diventa protagonista. Una scala che sembra fluttuare. Una ringhiera che si trasforma in linea di luce. Un corrimano che segue il movimento della mano con precisione millimetrica. 

I suoi materiali — marmo, noce, ferro, ottone, vetro — non sono mai scelti per l’effetto, ma per la capacità di mutare nel tempo. L’architettura, per lui, è un organismo vivente: deve cambiare con chi la abita. Nel suo lavoro la precisione non è freddezza: è poesia applicata alla materia. 


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Krhome Real Estate e la visione condivisa dell’abitare di pregio 

L’incontro tra Potito Michele Giorgio e Krhome Real Estate nasce da una sintonia di linguaggi: entrambi condividono l’idea che il lusso contemporaneo non si esprima in metri o marmi, ma in misura e sensibilità. Insieme, hanno dato vita a una collaborazione che unisce architettura, interior design e consulenza immobiliare in un unico percorso narrativo: restituire valore al tempo, alla memoria e all’esperienza del vivere.

Nei progetti sviluppati con Krhome, Giorgio interpreta gli spazi come scenari di vita raffinata, dove ogni elemento, come la luce, la scala, il silenzio, diventa parte di una drammaturgia quotidiana. 

Non si tratta solo di progettare luoghi, ma di curare il modo in cui vengono percepiti. 

Questa collaborazione rappresenta una nuova frontiera dell’abitare di pregio: non più dimora come status, ma casa come esperienza estetica e culturale. Un linguaggio condiviso che ha un nome preciso: italianità consapevole

 

Una filosofia sensibile 

Nel pensiero di Potito Michele Giorgio, l’architettura non deve mai farsi notare prima di essere capita. Ogni spazio nasce da un atto di ascolto: del contesto, della luce, delle persone. Il lusso è discrezione, proporzione, silenzio. La bellezza, per lui, è un atto di equilibrio: tra funzione e poesia, tra memoria e innovazione. 

“Un edificio non deve imporsi. Deve invitare a restare.” Una frase semplice, ma che racchiude la sua visione del mondo: progettare per far sentire, non per dimostrare. 


Il tempo come materia emotiva 

Potito Michele Giorgio appartiene a quella scuola di pensiero, tutta italiana, per cui il tempo non è un limite, ma una materia da modellare. Nei suoi spazi, la storia non pesa: respira. 


Le superfici raccontano, i materiali invecchiano con grazia, la luce costruisce memoria. 

La sua collaborazione con Krhome Real Estate amplifica questa filosofia: l’obiettivo di entrambi è quello di restituire dignità al dialogo tra architettura e vita, tra passato e presente, tra spazio e emozione. Un’idea di lusso che non ha bisogno di definirsi, perché si sente. 

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